Tarquinia, 9 ottobre 1941
Carissimi Mamma e Papà e sorelle, stamattina me ne andavo all’aeroporto desideroso che non tirasse vento, ma segretamente felice, come i miei colleghi, di dover pedalare faticosamente contro vento: mancanza di vento significa fare il brevetto.
Dopo una mezz’ora di ginnastica vediamo la manica: pendente, floscia, non accennava affatto a gonfiarsi.
Contemporaneamente vediamo i rossi palloni sonda alzarsi e scomparire nell’aria. Un presentimento che ci ha fatto venire un po’ di fifa.
Dopo qualche minuto, il presentimento diventa realtà: il capitano direttore di lancio viene e dice semplicemente : “Sono le otto. Alle otto e un quarto adunata avanti all’hangar in tenuta di lancio”.
Mentre ci parla, guarda l’orologio che ha al polso invece che guardare noi. Da quel momento, nessuno di noi ha più fiatato. Ci siamo vestiti silenziosamente abbottonandoci a vicenda tute e ginocchiere perché un leggero tremolio ci impediva di farlo da soli. Paura? No, forse emozione. Oppure un misto. L’apparecchio scaldava già i motori, ed io pensavo in cuore mio: “ io non mi butto”.
Automaticamente, come condannati a morte, ci siamo messi in fila per uno, col buon paracadute dietro il groppone. Uno per uno, passando dietro l’apparecchio, attraverso il turbinio di vento delle eliche in moto, siamo saliti.
Sarò il terzo a lanciarmi, naturalmente se mi butterò.
Qualche raccomandazione dell’istruttore, fatte a cenni a causa del rombo mentre l’aereo si muove lentamente per mettere il muso contro vento. Ecco, gira; vedo, o meglio intravvedo la mano del pilota sulle tre manette del gas. Le abbassa e contemporaneamente l’aeroplano si scaglia avanti. Ma io penso che non mi butterò.
L’apparecchio vola. L’istruttore attacca con calma i moschetti del paracadute all’apposita cordicella. Momenti eterni che sembrano secoli e sono attimi.
Evito di guardare la terra, i compagni e l’istruttore. Siamo quasi sul campo a quota di lancio: duecento cinquanta.
L’istruttore fa cenno al primo di mettersi in posizione. Poveretto quel collega; ha gli occhi paurosamente dilatati, fa pena. Preferisco non guardarlo e guardo l’istruttore. Lo trovo diverso dagli altri giorni: ha uno sguardo quasi paterno, sorride, aggiusta l’allievo, gli dà il classico colpetto sulla spalla.
Ero certo che non si sarebbe lanciato, invece è scattato come un dardo; eccolo là dietro, mentre pende dal paracadute aperto.
Sotto l’altro, ed eccomi. Da questo momento faccio tutto ciò che penso di non fare. Mi metto a posto tranquillo, non guardo giù, ma fisso l’estremo dell’ala dell’aereo.
Attendo da un momento all’altro il colpetto sulla spalla; se ritarda, penso che non mi butterò davvero.
Eccolo, e via, deciso anche io come un dardo. Sono fuori dall’apparecchio.
Quello che ho provato, non credo di saperlo descrivere: una emozione nuova, bella.
Dal rumore tremendo dei motori, del tumulto del cuore e dei nervi, mi sono trovato in un’aria tranquilla, nel silenzio, in una quiete infinita.
Ecco un sibilo, uno strappo dolce, e mi trovo fermo nell’aria, in realtà scendo, ma non me ne accorgo. Mi accorgo invece che sudo.
Vedo l’aeroporto che fa l’altalena, significa che ho un movimento pendolare. Con qualche movimento ben dato, mi fermo e godo della mia posizione.
O, ma ad un tratto la terra viene su veloce….come s’avvicina! Sono preso dal terrore, quasi, e cerco di mantenere la calma. Ecco un vociare che mi raggiunge. Non mi riesce, per quanto cerchi, di vedere chi è che parla, ma l’aver visto molti lanci mi fa capire chi è che mi chiama col megafono da terra: è l’istruttore che parla col megafono. Grida: ”tieni i piedi uniti….attenzione! Hai il vento sulla schiena, capovolta avanti”.
Allora tengo i piedi uniti, perché so che l’urto col terreno avviene quando meno ce lo aspettiamo.
Ecco l’uomo del megafono, è proprio sotto a me. Ecco ancora la sua voce: ”Quota trenta, attento, quota venti , dieci, cinque” e con un capitombolone, sono atterrato. Sono stordito, mi oriento e rido. Come ridevo, vi aveste visto. Era lo sfogo dei nervi. E dopo un attimo mi sono messo a correre verso l’hangar; mi sono trovato così tra coloro che a poco avrebbero fatto il lancio. Solo allora mi sono reso conto quanto fosse bella quella sensazione di leggerezza, direi quasi di mancanza di gravità che ormai era scomparsa. Tutto ciò è avvenuto in 40-45 minuti secondi.
Queste prime impressioni le ho scritte quasi subito dopo il lancio ed ora le trascrivo.
A voce vi dirò meglio ciò che ho provato, ma una cosa sola è certa; che questo è uno tra i giorni più belli della mia vita, peccato che non eravate presenti voi.